Ibn ‘Arabì - Futûhât, Capitolo 262 - La nozione di Shari'a


La nozione di Shari'a - La Legge, o la Via Generale


La Shari'a è attaccamento rigoroso alla Servitù (iltizâmu-l-Ubûdiyyah) per l'attribuzione dell'atto a te (bi-nisbati-l-fi'li ilaïka).

Versi:
In verità la Sharî'a è un limite (legale) (hadd) senza tracciati tortuosi, sul quale le Genti delle alte stazioni spirituali avanzano (fanno progressi).

Essi salgono sui gradini delle intelligenze e delle ispirazioni verso una dignità alla quale accedono e che non perdono più.

Da là portano una cosa di un valore immenso, e non si fa loro nessuna lagnanza per ciò che cosi portano.

La Sharî'a comprende, da una parte, la Via Visibile (as-Sunna az-Z'âhira) che gli Inviati hanno portato per ordine di Allah, dall'altra parte, la via istituita da iniziativa personale (as-sunnatu-llatî ibtudi'at) nello scopo di avvicinarsi ad Allah; questo ultimo modo di istituzione è quello menzionato nella parola di Allah: "una rahbâniyya (vita monastica) che essi (coloro che seguirono Gesù) hanno istituito per loro iniziativa personale (ibtada'û-hâ") (Cor. 57,27) (1), così come nella parola dell'Inviato: "Colui che traccerà nell'Islam una buona via (sunna hasana) ecc." (2), parola per la quale ci ha accordato la licenza di istituire di propria iniziativa ( ibtidâ) ciò che è "buono" (hasan), e ha messo anche una ricompensa per colui che avrà istituito questo bene così come per coloro che l'avranno praticato.

Inoltre, ci ha istruiti che colui che rende ad Allah un culto secondo ciò che gli conferisce la sua vista speculativa (naz'ar) - questo quando non si trova su una via determinata di istituzione divina - sarà riunito, nella Risurrezione, come costituente a lui solo, una "comunità" (umma) (3) senza avere un capo (imâm) (4) che egli segue. Il Legislatore ha considerato che un tale essere è "buono" (khayr) e l'ha fatto entrare nella categoria dei "buoni" (akhyâr): è così che Allah ha detto di Abramo": In verità, Abramo era una comunità, umma, votato ad Allah"... (Cor. 16,120) ciò riguarda Abramo prima che egli riceva la Rivelazione (5).

L'inviato di Allah – che Allàh preghi su di lui e gli dia la Pace - ha detto anche: “Sono stato inviato per completare le virtù (caratteri) nobili (Makârimu-l-Akhlâq)" (6): di conseguenza colui che pratica i "nobili caratteri" si trova su una "via legale" (shar') emanante dal suo Signore, anche se lui non lo sa. Il Profeta ha chiamato una tale pratica "bene" (khayr), nel hadith che riguarda Hakîm ibn Hizâm che, all'epoca dell'ignoranza preislamica, aveva fatto molte opere virtuose, come l'affrancamento di schiavi, elemosine, benefici verso i genitori, atti di liberalità, ecc.; quando questo gli chiese quale era il valore di tutto ciò, il Profeta- che Allàh preghi su di lui e gli dia la Pace - gli rispose: "Sei stato già praticante dell'islam (aslamta) per tutto ciò che hai fatto come bene (khayr) precedentemente ". Il Profeta – che Allàh preghi su di lui e gli dia la Pace - chiamò dunque "bene" ciò, ed annunciò allo stesso tempo al praticante la ricompensa divina.

La Sharî'a, se tu non la comprendi in questo modo, non la comprendi affatto.

In quanto al "perfezionamento dei caratteri nobili" esso consiste nella spogliazione delle villanie che sono state loro sovrapposte; poiché mentre la nobiltà dei caratteri è cosa essenziale, la loro bassezza è cosa accidentale: questa non ha fondamento divino (= in divinis) e lei (la bassezza) non è dunque che una sovrapposizione accidentale di cui la base sono i desideri psichici, mentre la nobiltà dei caratteri ha un fondamento divino, vale a dire l'esistenza dei Caratteri Divini loro stessi (al-Akhlâqu-l-Ilâhiyya) (7). Il perfezionamento dei caratteri nobili portati dal Profeta fu manifestato nella spiegazione chiara che diede sui modi di praticare essi, poiché egli ha precisato i modi necessari di praticare questi caratteri affinché siano effettivamente "nobili", ed affinché siano tolti i caratteri meschini che li ricoprono. E' per questo che non c'è in tutto l'universo che Shari'a.

Sappi, d'altra parte, che la Sharî'a ha portato la formulazione di ciò che conviene alla comunità alla quale Allah ha prescritto ciò che gli ha prescritto. Tra le sue disposizioni, ce ne sono di quelle che sono venute in seguito ad una domanda della comunità, delle altre per mozione divina diretta. È per ciò che il Profeta (s.a.s.) diceva: "Lasciatemi stare, finché io vi lascio stare"! (8). Perché molte delle disposizioni istituite nella Legge sono arrivate a seguito di questioni poste dalla comunità, e senza queste questioni, le prescrizioni rispettive non sarebbero state stabilite. - Le cause occasionali, degli statuti religiosi che riguardano questo mondo e l'altro sono cose conosciute ai Sapienti istruiti (informati) sulle circostanze della rivelazione e delle istituzioni legali. - Si dice, per esempio, charra'tu-r-rumha qibala-hu = "ho diretto la lancia verso lui", vale a dire "l'ho mirato con la lancia andando verso lui" (9).

La Sharî'a fa tuttavia parte delle Haqâ'iq ( plurale di haqîqa = "verità essenziale"). Pur essendo una Haqîqa, essa è chiamata Sharî'a (a causa della sua promozione alla funzione legislativa per rispondere alle necessità della comunità umana). Essa è' integralmente haqq, "verità legale". Colui che decide secondo la Legge decide secondo una verità di diritto e ha la sua ricompensa presso Allah per il fatto che prende la sua decisione sulla base che deve osservare nel suo giudizio.

(Si pone una questione) Se colui in favore del quale è stato pronunciato un giudizio (gli è stata data ragione) non ha il diritto reale con lui (dalla sua parte), mentre questo diritto è con colui contro il quale il giudizio è stato pronunciato (è stato cioè condannato), la causa è presso Allah come fu stabilita nel giudizio o come essa è in se stessa? Alcuni tra noi dicono che la causa è presso Allah tale e quale come fu pronunciata nel giudizio; altri dicono che è presso Allah come essa è in se stessa. In questa questione c'è un aspetto che esige un esame attento degli argomenti. Così, quando c'è un' accusa portata contro le donne caste, Allah fa cadere il castigo sull'accusatore che non ha portato quattro testimoni in appoggio alla sua accusa; ora questo può essere veritiero nella sua accusa; in un caso speciale dove l'accusatore era realmente bugiardo, Allah si è espresso tuttavia come nel caso generale: "Perché i calunniatori non portarono quattro testimoni al proposito? Se non possono portare i testimoni allora sono quelli presso Allah i mentitori"(Cor. 24,13). L'espressione "quelli" (ulâika) vuole designare il caso di specie o il caso generale? La pena della flagellazione dell'accusatore è dovuta solamente al fatto del suo proposito accusatorio non sostenuto da quattro testimoni. Inoltre, c'è il caso dove i testimoni citati sono dei testimoni falsi in quanto al fatto da provare, e dove la loro testimonianza trascina il castigo dell'imputato che è ucciso e che avrà la sua ricompensa integrale nella vita futura, malgrado la solidità del giudizio reso contro lui in questo mondo, mentre i testimoni falsi e l'accusatore bugiardo saranno castigati nella vita futura, sebbene si sia stabilito la "verità di diritto" (al-haqq) sulla base delle loro parole. E' per questo che l'inviato di Allah (s.a.s.) ha detto: "Io non sono che un uomo. Voi venite a portare i vostri processi davanti a me: ora è possibile che uno sia più abile nella sua arringa del suo avversario, e, allora se io attribuisco ad uno ciò che appartiene in realtà all'altro, che non l'accetti, perché io non gli avrò attribuito così che una parte del Fuoco." Tuttavia, in simili casi, l'Inviato di Allah (s.a.s.) aveva pronunciato il suo giudizio in favore di uno attribuendoli ciò che era il diritto dell'altro, ed egli l'aveva attribuito in quanto "diritto" del vincitore (del processo), mentre questo sarà castigato nella vita futura, come (inversamente) si castigherà, nella vita futura, per "maldicenza" (ghîbah) e "rapporti malevoli") (namîmah), anche se sono veridici (haqq), poiché nella Legge, tutto ciò che è vero non è necessariamente legato alla felicità.

Per il fatto che la Sharî'a è un'espressione che designa lo statuto (al-hukm) stabilito per l'essere assoggettato alla Legge, e che l'autorità (at-tahakkum) su di lui si esercita tramite essa, il soggetto legale è "servitore" ('abd). Questo è costretto alla "servitù" per il fatto che la regola non gli permette di sollevare la testa sopra di sè; non può fare ne "movimento", né "arresto" senza che la Legge non abbia a questo riguardo una prescrizione stimata adeguata. È per ciò che l'Ordine iniziatico (at-Tâifa) considera la Sharî'a come impegno alla servitù, perché il servitore è sempre retto (governato).

In quanto al formula iniziatica ( menzionata all'inizio del capitolo) che parla della "attribuzione dell'atto a te", si spiega per il fatto che quando non fai ciò che vuole il tuo Maestro tu sei colpevole (erroneo), ma in caso contrario non sei riprensibile. E' per questo d'altronde che non si puniscono coloro che sono privati della ragione.

Questo basterà per definire la Sharî'a "Ed Allah dice la Verità , è Lui che guida sulla (retta) Via !" (Cor.33,4).

Note
(1) La rahbâniyya = lo "stato monacale", da rahbân = "monaco", è considerata come il tipo dell'istituzione sacra che non proviene da un Inviato divino ( in specie il Cristo) ma dalla sua posterità. Questo termine arriva a designare anche per estensione ogni legislazione stabilita da ijtihâd (sforzo giurisprudenziale) degli uomini spirituali o giureconsulti,; perciò si è definito anche alcune volte il rahbân come "il giureconsulto che porta delle soluzioni nuove nella sua religione"(ar-rahbânu huwa-l-mujtâhidu fi dini-hi).
(2) Ecco il testo completo del hadith: "Colui che traccerà nell' Islam una buona via (regola), (sunnah hasanah) avrà la ricompensa di questa e la ricompensa di quelli che l'avranno praticata dopo lui, senza che ciò diminuisca in qualche misura la loro ricompensa. E colui che traccerà nell'islam una cattiva via (sunnah sayyi'ah) avrà su lui il fardello di questa ed il fardello di quelli che l'avranno praticata senza che ciò diminuisca in qualche misura il loro fardello".
(3) Qesto è certamente il caso dei pagani preislamici in Arabia, ma anche di ogni essere al quale una via tradizionale integrale o vera fa difetto.
(4) I termini umma ed imâm vengono di una stessa radice verbale che esprime l'idea "di avere una direzione". Si potrebbe dire che una umma è una "comunità" in tanto che ella segue una direzione unica come una sola entità; si può dire per analogia che un essere isolato e ridotto a suoi soli mezzi sono al tempo stesso il "dirigente" (al-imâm), il "diretto" (al-ma'mûm) e la "comunità" (al-umma), in quanto collettività che segue una direzione che gli è propria.
(5) Prima della rivelazione di una legge organizzatrice che istituisce una gerarchia propriamente detta, i membri della "comunità" devono essere considerati come coloro che godono di una relativa "autonomia" ciò che è proprio di uno statuto umano più vicino alle origini. Allorché la detta rivelazione ha luogo, si produce una differenziazione ed un'ordinanza nuova: l'imâm prende la testa dell'umma. E' per questo che Allah dice al patriarca: "In verità, ti istituisco Imâm per gli uomini"... (Cor. 2, 124). Da notare che, secondo il contesto coranico ciò deve corrispondere al momento in cui, nella Genesi, Abram "padre elevato ", vede il suo nome cambiato in Abraham ciò che nel testo biblico stesso è interpretato come "padre di moltitudine", momento che è quello di un'elezione tra le nazioni e di una Alleanza.
Tuttavia, per quanto il nome di Abraham designa anche una umma (cf. Cor.16, 120), qui Abraham può rappresentare la comunità non-associazionista dedicata alla concezione dell'Identità Suprema che gioca il ruolo di imâm (capo) rispetto alle altre comunità tradizionali. In quanto a questo aspetto delle cose è notevole, tenuto conto della terminologia rigorosa del Corano, che il versetto che ricordiamo parla di "Imâm per gli uomini" e non per tale o tale altro popolo.
(6) Cfr. l'hadith: "Ho ricevuto le Parole Sintetiche (ûti'tu Jawâdmi'al-Kalimi) e sono stato suscitato per completare i caratteri nobili (wa bu'ithtu li-utammima Makârima-l-Akhlâqi) ".
(7) Cfr. l'hadith: "Allah ha Trecento caratteri; colui che è impregnato (takhallaqa) di uno solo di questi entrerà in Paradiso"; un altro hadith esorta: "Impregnatevi (caratterizzatevi) dei caratteri di Allah (takhallaqû bi-akhlâqi-Allâh)! ". A questo riguardo Ibn Arabî stabilisce altrove importanti distinzioni che non possiamo rievocare qui (Cfr. Futûhât, cap. 73, quest. da 46 a 50).
(8) Ciò che voleva dire: “Non mi ponete troppe domande finché non mi occupo io stesso dei vostri bisogni, perché le risposte che verrebbero alle vostre domande porterebbero inevitabilmente delle determinazioni (regole) nuove che possono accumulare solamente i carichi e le restrizioni".
(9) Da ciò risulta che il senso del parola Shâri'a che viene della stessa radice di sharra'tu = "ho mirato", implica le idee di "orientamento corrispondente" e di "risposta adeguata" e che di conseguenza la Legge è fatta in vista della comunità alla quale è imposta e che essa si spiega dunque per questo.

Traduzione dall’Arabo in francese e note di Michel Vâlsan